Una notizia sconvolgente, ma allo stesso tempo pienamente rispondente ai tempi che ci troviamo a vivere. Un vero “segno dei tempi”, per usare un’espressione della più utilizzata terminologia ecclesiastica degli ultimi decenni.
I fatti in breve, poi l’amarissima riflessione. Due genitori canadesi, dai nomi propri normali, hanno chiamato i loro due figli Jazz e Kio, e questo non per seguire le attuali mode folli (attori e vip di ogni sorta) di dare nomi idioti ai propri figli, ma per una ragione ben più profonda e ideologica: i loro bambini non devono avere nomi maschili e femminili, in quanto questa – quella del maschio e della femmina, dell’uomo e della donna – è l’ultima grande barriera da abbattere nel cammino dell’umanità verso l’uguaglianza assoluta.
Faccio presente che qui siamo ben oltre le solite idiozie femministiche contro la disuguaglianza sessuale intesa in senso “classico”, cioè contro il cosiddetto maschilismo. Qui si tratta di un salto qualitativo impressionante: il problema non è quello di rimediare alla disuguaglianza fra uomo e donna nelle sue plurime espressioni religiose, culturali e sociali, ma quello di distruggere la disuguaglianza fra uomo e donna tout court, nel senso che non devono più esistere né uomo né donna, ma un solo unico sesso, senza più distinzioni di alcun genere, a partire dal nome (e giù a scendere, per arrivare ai vestiti, al cibo, ai giochi, ecc.).
È il mito dell’androgino, ripreso dalle sette massoniche più radicali e riproposto “qua e là” dai movimenti più esoterici e sovversivi della (post)modernità.
Se qualcuno pensa che stiamo esagerando, la riprova viene dalla ulteriore scelta dei due meravigliosi genitori: alla notizia dell’arrivo di un terzo figlio, hanno deciso che mai, in alcun modo, di costui si dovrà conoscere il sesso (nemmeno lui, il nascituro, dovrà conoscere il fatto che ha un sesso differente da quello di circa l’altra metà dell’umanità). Tutto sarà fatto in modo (non ci chiedete come…) tale che, durante la sua crescita egli, e tutti coloro con cui verrà in contatto, mai potranno capire il suo sesso vero.
Solo gli ingenui e i superficiali possono sorridere di questo fatto, possono presentarlo come un’astrusità di due originali bontemponi. I due genitori non sono affatto dei bontemponi o degli originali. Sono in realtà due coerentissimi e radicali sostenitori delle ultime conseguenze del processo egualitarista rivoluzionario e anarchico. L’egualitarismo assoluto è il senso, la molla e il fine stesso, del processo rivoluzionario sovversivo che da secoli sta trasformando la società occidentale, quella che un tempo era la civiltà cristiana.
L’egualitarismo economico, quello tipico del socialismo prima e del marxismo poi, è solo il primo stadio: se ci si pensa bene, nessuno può realmente credere che l’infelicità degli uomini dipenda solo da fattori economici di disuguaglianza e ingiustizia. Già Rousseau ci avvisava che il vero egualitarismo non è tanto quello economico, ma soprattutto e anzitutto quello politico (e infatti propone l’utopia totalitaria della volontà generale come soluzione); uno dei punti più deboli della struttura rivoluzionaria marxista è quello di pensare che si arriverà alla fine dei contrasti fra gli uomini (e quindi alla fine della necessità dello Stato e alla realizzazione dell’anarchia e della felicità comune) abolendo la proprietà privata e ogni forma di differenza economico-sociale. Marx e seguaci dimenticano che le prime e più immediate ragioni di “invidia” sociale non sono quelle economiche, sono quelle fisiche (chi è bello e chi è brutto, chi è sano e atletico e chi invece è malato o debole, chi è intelligente e chi meno e chi è stupido, ecc.), e quelle fisiche non possono essere eliminate in alcun modo (che facciamo, sfregiamo i belli, tagliamo le gambe agli alti, facciamo ammalare i sani?). Non si pensi che stiamo esagerando: solo per fare due esempi, durante la Rivoluzione Francese, il giacobino “arrabbiato” Hebert propose seriamente alla Convenzione di abbattere tutti i campanili di Francia, perché, svettando con la loro altezza, erano contrari al principio di uguaglianza… E, ben più drammaticamente, Pol Pot in Cambogia arrivò a uccidere, nella sua follia criminale, chi portava gli occhiali, per il solo fatto che il portare gli occhiali era dimostrazione di sapere leggere e quindi di essere contro il principio dell’uguaglianza assoluta.
È una tipica ingenua disfunzione marxista quella di ridurre i problemi dell’uomo al suo stomaco insoddisfatto. I veri rivoluzionari, le menti della sovversione anarchica dell’umanità, sanno bene che l’uomo non si può ridurre a uno stomaco e che l’uguaglianza economica è il preambolo necessario ma pienamente transitorio del radicale processo di egualitarismo universale. E infatti, negli ultimi 200 anni, e in particolare nel Novecento, le teorie egualitarie sono andate ben oltre il banale economicismo marxista, portando avanti le più radicali teorie della massoneria più esoterica: quella della distruzione definitiva di ogni pur lieve forma di differenziazione in ogni ambito dell’uomo e dell’universo.
Niente più differenza di religioni (un “credo” universale di chiara marca ecumenistico-newagista, ottimistico e salutista per tutti); niente più differenza di razze (il famoso “melting-pot”, oggi sostenuto facilmente dall’immigrazionismo di massa: il termine stesso di “razza” ormai suona in maniera negativa, come se le razze, come qualsiasi altra cosa e diversità di questo mondo, non le avesse create Dio stesso); niente più Stati e patrie (la repubblica universale, mito portante della massoneria illuminista); niente più differenze di classe, differenze organiche societarie, differenze all’interno delle istituzioni, all’interno della famiglia. Soprattutto, dopo il ‘68 e con l’affermazione dell’ideologia ecologista e animalista, si è giunti a teorizzare l’egualitarismo non solo fra tutti gli uomini, ma anche fra i generi (uomini e animali: si parte con i diritti degli animali per arrivare, un giorno, alla perfetta identificazione dell’animale con l’uomo; uomini, animali e piante: l’ecologismo estremo di un Peter Singer, ideologo di grido dell’egualitarismo dei vegetali con gli animali e con gli uomini, fautore quindi del divieto non solo di mangiare animali, ma anche i vegetali…). Queste non sono mie fantasie, esistono libri, discorsi pubblici, atti di convegni, manifesti politici, che dimostrano l’esistenza di tali progetti politici finalizzati alla creazione di un mondo totalmente egualitario.
Il discorso è lunghissimo e di una gravità devastante, come chiunque può capire. Ma ora forse, già con queste poche note, può apparire più chiaro il senso della follia ideologica dei nostri due genitori canadesi: essi, tutt’altro che svampiti bontemponi, sono dei lucidissimi rivoluzionari, che stanno tentando, pionieri della più profonda di tutte le sovversioni, di realizzare l’utopia della distruzione della prima e più indistruttibile di tutte le differenze: quella sessuale («Maschio e femmina li creò»… Genesi, 1,27).
Come detto, non si tratta di femminismo, neanche più di omosessualismo; nemmeno di “genderismo” (la teoria del “gender”, per cui esistono 5, 10, l’ultima che ho sentito, 25, sessi…). È il contrario: non esiste sesso.
È l’urlo finale e più pazzesco della ribellione contro l’ordine del creato.
Il loro terzo figlio non deve conoscere il suo sesso. Questo va oltre il “sessismo”. È il “non serviam” della bioetica.
E poco importa che sia impossibile da attuare. Il presupposto di ogni utopismo ideologico è proprio il superamento dell’ovvio evidente problema della impossibilità di quanto si predica giusto. Quando chiesero a J.J. Rousseau se egli veramente pensasse che fosse esistito uno “stato di natura” in cui l’uomo, senza peccato originale e quindi naturalmente buono, fosse vissuto felice, egli rispose semplicemente: “non mi interessa se vi sia mai stato nella realtà. Dico solo che questo è ciò che sarebbe giusto essere stato”. E quando gli fecero notare che la sua volontà generale (tutti d’accordo su tutto in ogni cosa) è semplicemente impossibile, a meno che non si cada in una spaventosa dittatura che tutti obbliga a un pensiero unico generale, egli rispose che ciò non gli interessava, l’importante era che lo si pensasse giusto e attuabile.
È l’utopismo totalitario su cui si fonda ogni futuro radicale sovvertimento dell’ordine del creato. Non importa come si farà a far sì che quel bambino non si accorga che esistono due sessi. Importa che qualcuno inizi a pensare che ciò sia giusto e possibile. Tutto il resto, poi, verrà da sé con il tempo. L’uomo, infatti, si abitua a tutto. E purtroppo, i nostri giorni, ne sono la più tragica ed evidente dimostrazione.
Dai diritti dell’uomo si è passati, per il verso verticale, ai diritti degli animali e delle piante, e, per quello orizzontale, ai diritti della donna (vale a dire, ai “diritti” della donna nei confronti del marito e dei figli stessi = aborto); dai diritti della donna ai diritti dell’omosessuale (“matrimonio”, adozione dei bambini, diritto alla casa per le coppie gay, ecc.); dai diritti degli omosessuali ai diritti di “gender” (ogni modo di relazione sessuale diventa un “diritto”); ora ai diritti di non avere sesso, cioè non solo di modificare il piano divino del creato, ma di negarlo in radice. Lo scopo concreto di tutto questo? È, come detto, dinanzi ai nostri occhi: è un cammino graduale, secolare, ma inesorabile, ove ognuno a suo tempo e luogo (rivoluzionari di professione, suffraggette, circoli omosessualisti, transessualisti, coppia canadese, ecc.) fa la sua parte al momento opportuno.
E, prima o poi, si trova anche una ministra che si batte per questi diritti… e magari pure in un governo di centro-destra. E nessuno fa nulla.
Ecco il senso di tutto questo. E noi, possiamo continuare a rimanere spettatori inerti?